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Diritto delle Criptovalute

In questo innovativo ambito del diritto lo Studio Legale Massella offre consulenza alle imprese che utilizzano Bitcoin, Ethereum o altre criptovalute come strumento di pagamento, o che forniscono servizi di custodia e scambio, o ancora che effettuino attività di mining. Le tematiche principali riguardano la qualificazione giuridica e tributaria di tali beni, il regime fiscale applicabile, nonché le questioni legali inerenti il loro utilizzo, conservazione, cessione e creazione.

Qualificazione Giuridica

Le criptovalute sono ricomprese nella categoria giuridica delle valute virtuali. La Banca d’Italia in un documento del 30 gennaio 2015 definisce le valute virtuali come " rappresentazioni digitali di valore non emesse da una banca centrale o da un’autorità pubblica". Di seguito specifica che le stesse "non sono necessariamente collegate a una valuta avente corso legale, ma sono utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento e possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente." Questa definizione è stata accolta dal legislatore intervenuto con il D. Lgs. 25 maggio 2017 n. 90, che modifica la normativa antiriciclaggio contenuta nel D. Lgs. 21 novembre 2007 n. 231, introducendo la prima definizione normativa di valuta virtuale nel nostro ordinamento. Il legislatore europeo, recentemente intervenuto in materia con la risoluzione legislativa del 29 aprile 2018 del Parlamento Europeo che modifica la direttiva UE 2015/849, definisce le valute virtuali come: “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente.

Regime fiscale applicabile

La sentenza della Corte di Giustizia UE C-264/14 ha sancito la non applicabilità dell’IVA agli scambi o cessioni di valute virtuali, esenzione prevista dall'art. 135, paragrafo 1, lettera e), della Dir. 28 novembre 2006 n. 112. Dato il carattere comunitario dell’imposta sul valore aggiunto e la soggezione del nostro ordinamento all’interpretazione del diritto europeo enunciata dalla Corte di Giustizia UE, l’esenzione è pienamente valida nel nostro ordinamento. Con riguardo alle imposte dirette per le plusvalenze realizzate da imprese e cittadini manca una specifica normativa tributaria riferita alle valute virtuali. L’Agenzia delle Entrate ha però fornito indicazioni circa il regime fiscale applicabile e ha affermato una piena assimilazione delle valute virtuali alle valute estere. Questa interpretazione, ora in palese contrasto con la normativa europea citata nel precedente paragrafo, già si scontrava al momento della sua pubblicazione con quanto aveva affermato la Banca Centrale Europea, la quale aveva escluso che le valute virtuali potessero essere considerate moneta (Eurosystem central banks do not recognise that these concepts would belong to the world of money or currency as used in economic literature, nor is virtual currency money, currency or a currency from a legal perspective). L'equiparazione delle valute virtuali a quelle estere determina inoltre l'insorgere di varie problematiche. In primis la difficoltà nell'identificare un valore di conversione univoco in quanto i vari exchange applicano prezzi talvolta molto diversi. Altra questione è poi la rilevanza nella determinazione dell’imponibile di una posta che, per sua stessa natura, soffre di una volatilità significativa.

 

Per quanto riguarda le imprese, nella Ris. 2 settembre 2016 n. 72/E si afferma che gli scambi di valute virtuali costituiscono reddito di impresa per la differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita e che, a chiusura dell’esercizio, assume rilevanza fiscale il valore normale ai sensi dell’art 9 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR).

 

Per quanto riguarda i privati, la Direzione Regionale della Lombardia con l’Interpello n. 956-39/2018 ha chiarito un passaggio infelice contenuto nella citata Ris. 2 settembre 2016 n. 72/E che poteva far desumere una sorta di non imponibilità soggettiva in capo alle persone fisiche non esercenti attività di impresa. Il regime fiscale applicabile è sempre quello delle valute estere. In particolare è richiamato l’art. 67 TUIR e specificamente il comma 1, lettera c-ter e il comma 1-ter. Quindi assumono rilevanza fiscale tutte le operazioni (anche i semplici prelievi dai wallet) laddove il valore del deposito in valute virtuali abbia superato per sette giorni consecutivi il controvalore di euro 51.645,69 calcolato al primo gennaio dell’anno in cui si verifica il presupposto della tassazione. L’interpello menziona inoltre la Circolare n. 38/E del 23 dicembre 2013, che chiarisce l’ambito di applicazione dell’art. 4 del D.L. n. 167/1990, estendendo l’obbligo di compilazione del quadro RW del modello Redditi PF anche alle attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari finanziari. Tale previsione, a detta dell’Agenzia delle Entrate, sarebbe applicabile anche per la fattispecie in esame data la mancanza di territorialità implicita nella tecnologia blockchain (protocollo nel quale risiedono le scritture contabili che dimostrano la capacità di poter spendere valute virtuali per il soggetto in possesso di chiave pubblica e privata, basato sul peer to peer e quindi presente in copie identiche ovunque venga scaricato). Viene poi indicato di compilare il quadro RW indicando il valore corrispondente al 31 dicembre e alla colonna 3 il codice 14, non assoggettando tale controvalore ad IVAFE, nulla si dice sul paese estero da indicare.

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